Non spetta il danno patrimoniale ai genitori del ragazzo morto in un incidente che guadagnava poco

 

 

 

 

La decisione è stata adottata dalla terza Sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, con la sentenza n. 25215 del 29 novembre 2011, nella quale i giudici di legittimità hanno accolto la tesi secondo cui la quantificazione del danno patrimoniale per gli stretti congiunti di chi muore in un incidente va parametrata in base al reddito del soggetto deceduto.
Ed infatti, considerando che al momento del decesso la vittima della tragica fatalità aveva uno stipendio che a stento era sufficiente a soddisfare i suoi bisogni, il risarcimento a vantaggio dei genitori è da escludersi.
Manca, infatti, la prova che il giovane avrebbe contribuito al bilancio familiare.
Il ricorso, pertanto, è stato respinto ma, anche in considerazione della difficile situazione morale, la Corte ha ritenuto di non condannare i familiari al pagamento delle spese processuali.

Condominio: spese per l’ascensore? Spettano anche a chi non ne usufruisce

 

Con la sentenza n. 28679 dello scorso 23 dicembre 2011, la Corte di cassazione si è pronunciata in merito all’annullamento di una delibera condominiale relativa al riparto delle spese di manutenzione dell’ascensore adottata dall’assemblea condominiale, che, secondo il ricorrente, era contraria alla legge e al regolamento condominiale. Nel caso di specie, il ricorrente, proprietario di alcuni negozi posti al piano terreno dell’edificio condominiale, si opponeva alla ripartizione delle spese in ragione delle quote millesimali di proprietà per le opere, qualificate come straordinarie, necessarie al ripristino degli ascensori. Tale ripartizione era, a dire del ricorrente, illegittima perché in contrasto con le previsioni di cui agli artt. 1123 e 1124 del codice civile, nonché del regolamento condominiale.
La Suprema Corte, rilevando l’infondatezza delle censure avanzate, ha, invece, affermato che l’art. 1123 c.c., nel consentire la deroga convenzionale ai criteri di ripartizione legale delle spese condominiali, non pone alcun limite alle parti, con la conseguenza che deve ritenersi legittima una convenzione che ripartisca le spese tra i condomini in misura diversa da quella legale. Pertanto, in materia di condominio di edifici, è legittima, in quanto posta in essere in esecuzione di una disposizione del regolamento condominiale, avente natura contrattuale, la delibera assembleare che disponga, in deroga al criterio legale di ripartizione delle spese dettate dall’art. 1123 c.c., che le spese di manutenzione ordinaria e straordinaria dell’impianto dell’ascensore siano poste a carico anche delle unità immobiliari che non usufruiscono del relativo servizio, tenuto conto che la predetta deroga è consentita dalla stessa norma codicistica.
In conclusione, con riguardo alle cose comuni destinate a servire i condomini di un edificio in maniera diversa, le relative spese, a norma del comma 2 dell’art. 1123 c.c., vanno ripartite in misura proporzionale all’uso che ogni condomino può fare della cosa comune salva la deroga convenzionale con cui si preveda la ripartizione di dette spese in misura proporzionale ai millesimi di proprietà.

Il medico che commette errori irreparabili può essere sospeso in via cautelativa dalla professione anche se non è stato ancora celebrato il processo a suo carico

 

 

Il medico che commette errori irreparabili può essere sospeso in via cautelativa dalla professione anche se non è stato ancora celebrato il processo a suo carico A stabilirlo è stata la sentenza n. 42588/2011 della Suprema Corte di Cassazione. La vicenda trae origine da un episodio gravissimo di colpa medica professionale: ad una donna era stata praticata una laparoscopia, nonostante la sussistenza di circostanze che suggerivano l’adozione di un altro e differente percorso chirurgico. Durante l’intervento il medico causava numerose lesioni sia alla vescica che all’intestino della donna, e, pur avendoci fatto caso, non si adoperava per trattarle e limitarne gli effetti: di conseguenza la paziente, una volta risvegliatasi dall’anestesia, presentava diffusi malesseri che neanche venivano diagnosticati dal medico che aveva eseguito l’intervento, nonostante egli sapesse quale ne fosse l’origine. La donna purtroppo era poi deceduta, e immediatamente veniva avviato procedimento penale con l’accusa di omicidio colposo nei confronti del medico. In un primo momento non era stata applicata la sospensione temporanea dall’esercizio della professione medica in attesa del processo, in considerazione del fatto che il medico non aveva precedenti per fatti analoghi. Per tale motivo la Procura ricorreva in Cassazione facendo notare che l’indagato era incorso in gravissima negligenza e imperizia e che addirittura la fattispecie che si configurava era quella dell’omicidio volontario commesso con dolo eventuale piuttosto che quella di omicidio colposo. I giudici di legittimità hanno dato ragione alla Procura ritenendo quindi applicabile la sospensione dalla professione.